Prevedere i rendimenti finanziari si può!

La stima dei rendimenti futuri di un investimento finanziario è sicuramente difficile, sopratutto se si usa la statistica tradizionale basata sulla media e sulla varianza. Se si analizzano in un solo passaggio 40 anni di storia e si prende come dato di rendimento atteso la media dei rendimenti di tutti e 40 gli anni si ottiene un dato poco significativo e poco utile per capire cosa succederà in un periodo più breve come per esempio 3 anni. Con il nostro modello di probabilità condizionate (basato su statistica bayesiana riconosciuta a livello accademico) invece si analizzano periodi prefissati con le finestre temporali e si definiscono le distribuzioni più adeguate in base alle caratteristiche del recente passato. In tal modo è possibile adeguare le previsioni con maggiore precisione ed attendersi risultati di stima decisamente superiore, ma prima di rivelarvi i risultati vorrei spiegarvi bene come funzionano. Per ogni strumento finanziario in portafoglio

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Pregi (pochi) e difetti del VaR

Quasi tutti conoscono cos’è il VaR, ovvero il Value at Risk, meno sanno che è un indicatore che era stato richiesto e creato dal CEO di J.P. Morgan a seguito della crisi del 1987 e ancora meno sanno che inizialmente si chiamava CaR, ovvero Capital at Risk. Ma veniamo con ordine, dopo il lunedì nero del 19 ottobre 1987 che aveva fatto perdere in un solo giorno ben più del 20% nel mercato azionario statunitense, il ceo di J.P. Morgan Dennis Weatherstone chiese ai suoi quantitativi di creare il famoso “4:15 report”, ovvero un report che contenesse in una unica pagina un valore per ogni singola asset class che facesse comprendere il rischio di perdita a cui era sottoposta la banca con un valore di confidenza e di probabilità. Tale necessità era giustificata dal fatto che molti comparti della banca lavoravano indipendentemente uno dall’altro e le esposizioni ad un singolo

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Le Finestre Temporali di Investimento (parte 2)

Nel Post del 28 Dicembre scorso, Finestre Mobili per l’analisi dei mercati finanziari, ho spiegato come utilizzare la tecnica delle rolling windows per analizzare una serie storica, e nel post della settimana scorsa, Introduzione alle Finestre Temporali di Investimento ho introdotto la tecnica utilizzata per provare ad analizzare il fenomeno del ritorno alla media. Ricapitolando brevemente, la domanda a cui cercheremo di dare una risposta con questo post è la seguente: esistono momenti migliori di altri (intesi come maggiore probabilità di guadagnare) per investire nei mercati finanziari, e se si quali sono e come si identificano? Immaginate di voler investire i vostri soldi in borsa per un periodo fisso di 3 anni, sareste in grado di dirmi negli ultimi 42 anni quante volte in percentuale avreste ottenuto con tale orizzonte temporale un rendimento positivo al termine dei tre anni? Utilizzando le rolling windows, ovvero spostandosi avanti di un mese e ricalcolando di nuovo

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Introduzione alle Finestre Temporali di Investimento

Lo scopo delle Finestre Temporali di Investimento, attraverso il metodo delle “rolling windows” (per chi non lo avesse letto il post Finestre Mobili per l’analisi dei mercati finanziari spiega come funzionano) è la verifica empirica attraverso l’utilizzo di strumenti statistici della possibilità ex-ante di determinare un momento ottimale di entrata nel mercato azionario. Si vuole verificare, quindi, se esista una ragionata ed accorta strategia di entrata nei mercati azionari in grado di aumentare il livello di confidenza dell’investitore circa l’opportunità di ottenere risultati positivi in termini di rendimento con una durata dell’investimento prefissata. I rendimenti di un indice azionario manifestano caratteristiche di erraticità, che hanno spinto alla creazione di numerosi modelli descrittivi e di previsione sia per i rendimenti che per la volatilità degli stessi. Proprio queste caratteristiche costringono ad un compito non facile un ignaro investitore che cerchi di scegliere il momento adatto in cui investire. Cercheremo di verificare se esiste una

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Finestre Mobili per l’analisi dei mercati finanziari

Le Rolling Windows, tradotte in italiano finestre mobili, sono delle tecniche statistiche di analisi non molto amate dagli accademici statistici ma molto utili ed usate dai cosiddetti “practitioners”, ovvero i quantitativi come noi che usano metodologie matematiche o statistiche applicate alla finanza. Sostanzialmente si tratta di periodi temporali di analisi di una serie storica, sia essa una serie storica di prezzi, di rendimenti o di risultanti di un indicatore statistico come la correlazione. Ci tenevo ad introdurre bene questa metodologia prima di parlare, nei post delle prossime settimane, di fenomeni di mercato che vengono analizzati diffusamente anche con queste metodologie. Come funzionano quindi le Rolling Windows? praticamente immaginate una serie storica di dati settimanali, se io prendo in analisi 52 periodi, ovvero un anno, avrò un punto di partenza ed un punto di arrivo, da cui posso ricavare il rendimento, avrò 52 rendimenti settimanali su cui calcolare la deviazione standard

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Sulla Volatilità, la classificazione e l’adeguatezza

Come detto nel post Oggi parliamo di Deviazione Standard da un punto di vista “non standard”, la Volatilità è simmetrica ed è un indicatore di incertezza della stima e non di puro rischio degli investimenti finanziari. Capirete da soli che quindi utilizzare questo indicatore statistico per classificare il rischio degli strumenti finanziari, pratica diffusissima tra gli intermediari finanziari, è non solo riduttivo e sbagliato ma anche pericoloso. Mi spiego meglio, se un investitore avesse comprato nel 2007 un fondo obbligazionario corporate, il rischio dichiarato dalla volatilità storica di tale strumento sarebbe stato molto basso, e quindi una banca avrebbe potuto venderlo tranquillamente ad una fascia di clientela molto conservativa. La volatilità di tale fondo l’anno dopo, con la crisi di Leaham Brothers e l’improvvisa illiquidità del mercato corporate, è triplicata in poco tempo, rendendo non solo non più adeguato il profilo di rischio di quello strumento per i clienti conservativi, ma

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Benedetta correlazione. Malefica correlazione

I commenti delle settimane precedenti mi hanno spinto a dedicare un post completo alla Correlazione tra strumenti finanziari. Tutti conoscono il concetto di correlazione, e tutti hanno sicuramente visto un piano cartesiano con raffigurati due fondi che nel lungo termine crescono ma nel breve sono inversamente correlati tra di loro come l’immagine del posti di oggi. Nel 2009 ho partecipato ad un corso di Risk Management a Londra organizzato da Paul Wilmott (per chi non lo conoscesse venga alla nostra conferenza del 28 febbraio a Venezia www.quant.it) e Nicolas Taleb, l’autore del best seller giocati dal caso e il cigno nero per capirci. Nicolas Taleb mi ha mostrato (per la prima volta) un grafico come questo: Anche in questo caso la correlazione è negativa, ma nella realtà i fondi scendono (con lo stesso principio per cui dovrebbero salire della prima immagine). Questa seconda immagine mi ha aperto gli occhi su quanto noi tendiamo a sovrastimare il concetto

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Deviazione Standard, Volatilità e VIX

Ieri abbiamo parlato di Deviazione Standard e di alcuni suoi difetti e limiti. Per capire quanto la statistica finanziaria in Italia sia divergente da quella anglosassone, basta dare un’occhiata alla definizione di Volatilità in Wikipedia in lingua Italiana rispetto alla versione Inglese. Nella versione Italiana la Volatilità è un’indice della variazione percentuale dei prezzi nel tempo, e fin qui la definizione coincide, però subito dopo la volatilità viene descritta come la varianza, che è il quadrato della deviazione standard, mentre nella definizione in inglese viene giustamente equiparata alla standard deviation, che è la radice quadrata della varianza. Anni addietro, il Prof. Francesco Corielli dell’Università Bocconi mi disse che la Volatilità è il prezzo da pagare per il fatto di tenere aperto i mercati azionari tutti i giorni; mai definizione di Volatilità mi ha reso l’idea più chiaramente di cosa significasse in realtà la volatilità dei prezzi. Se ogni giorno davanti

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Oggi parliamo di Deviazione Standard da un punto di vista “non standard”

La Deviazione Standard è un’indicatore di dispersione dei dati intorno ad un indice di posizione; tradotto in non statistichese è uno degli indicatori statistici in grado di misurare la variabilità intorno alla media. In finanza, soprattutto in Italia, questo indicatore è stato progressivamente associato al rischio di uno strumento finanziario, indicando che più alta è la deviazione standard dello stesso, più alto è il rischio che un investitore corre. Questa associazione è molto approssimativa e fuorviante; la deviazione standard non è un indicatore di rischio ma di incertezza, poiché se è molto alta le stime che si possono fare attorno ad un determinato strumento finanziario sono poco attendibili, se è bassa, le stime che si possono fare sono più accurate. Introdotta in statistica da Pearson, la deviazione standard non è altro che la radice quadrata della varianza, si veda wikipedia per la formula matematica. Il principale difetto della deviazione standard, dal punto di vista dell’utilizzo finanziario, non è il fatto di essere associata alla distribuzione normale dei rendimenti (casualità), bensì il fatto che è un indicatore simmetrico, ovvero non è in grado di distinguere

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